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TESTIMONIANZE SETTECENTESCHE SULLA QUESTIONE DEL "GOTICO"
E siamo, così, anche in piena polemica, d'altronde dichiarata, con un'intera tradizione, specificamente italiana e, di radice controriformistica, che accreditava il Duomo milanese come la cosa più stupefacente del mondo (146). De Brosses vi reagisce illuministicamente, tanto più che lo stesso interno della chiesa gli appare "molto oscuro, privo di qualunque ornamento (ecco di nuovo il gotico montesquieuviano, come qualcosa di opposto alla magnificenza, quantunque complessivamente sovraccarico), e di qualunque bellezza" - e anche questa "oscurità" gotica dovrà attendere cento anni per diventare qualcosa di comprensibile (147). Senonchè, anche a Milano come a Pavia, de Brosses riconosce nei "particolari" del Duomo molte "cose notevoli", che, come a Pavia, sono certamente il marmo bianco, di cui è fatto tutto l'interno dell'edificio, e, ancora di più, almeno qualcuna delle statue le quali, "come un piccolo esercito", costellano la chiesa tutt'intorno. E' il tipico piacere settecentesco (e in questo caso potremmo parlare di piacere rococò) per certe "curiosità" architettoniche, come per esempio, oltre questa di Milano, la "città in miniatura" che sta sul tetto di San Pietro a Roma (e che troverà qualche spazio perfino nel Goethe del 1787), sulla quale de Brosses scrive: «La parte superiore del tempio, voglio dire i tetti, è quella che produce più meraviglia, perchè non ci si aspetta di trovare lassù un tal numero di botteghe, di bancarelle, di cupole, di appartamenti abitati, di campanili, di colonnati, ecc., che costituiscono veramente una sorta di piccola città, divertentissima» (148). E Goethe: «Finalmente siamo saliti sul tetto della chiesa dove si trova la riproduzione in miniatura di una città costruita come si deve. Case e magazzini, fontane che sembrano gettar acqua, chiese, ed un gran tempio, tutto all'aria aperta e percorso da belle passeggiate». (149). Gusto che però è ormai talmente esangue, che nessuno dopo Goethe, citi questa parte soltanto curiosa della Basilica di San Pietro. E' interessante, però, che noi l'abbiamo sorpreso nel de Brosses che guarda il gotico milanese, e che tracce di esso in qualche modo persistano nello stesso Goethe romano. Nè l'atteggiamento di de Brosses muta a Venezia, Palazzo Ducale (sul quale abbiamo visto Montesquieu significativamente sorvolare) appare anche a lui "una brutta cosa, se mai ve ne fu una, pesante, cupa e gotica, del peggiore gusto possibile". tuttavia, anche in questo caso, de Brosses non manca di cogliervi qualcosa di positivo (in cui ricorre tra l'altro il solito marmo bianco): «Il grande cortile interno, soprattutto da uno dei lati, ha certa magnificenza dal punto di vista architettonico; lo adornano in modo molto singolare due pozzi, i cui straordinari parapetti, fatti di una sola colata di bronzo, sono di un'arte raffinata e notevolissima, ed una superba scalinata tutta di marmo bianco e viola»
(150).
(146) GIACOMO LEOPARDI, nella Crestomazia italiana prosaica (Milano, Stella, 1846, vol. I, p. 639), citata la Lettera nella quale TORQUATO TASSO paragona l'Italia alla Francia e in cui è detto espressamente che "non è dubbio che in quella parte ancora che pertiene alla magnificenza ed alla grandezza degli edifici, il Duomo di Milano, e forse alcun'altra (chiesa) d'Italia, trapassa tutte le chiese di Francia delle quali io ho notizia, ed in particolare questa, tanto celebrata, di Nostra Dama di Parigi. (147) JOHNN HEINRICH HEINE, op. cit., p. 212. (148) CHARLES DE BROSSES, op. cit., p. 314. E' il gusto che farà apprezzare di Albenga (op. cit., p. 28), fatta "di ciottoli di diversi colori, ordinati in modo da rappresentare animali, trofei, fogliame"; oppure il giardinetto di palazzo Porta a Milano (op. cit. p. 63) con la sua "prospettiva di edifici dipinti su di una muraglia con tale abilità che tutto il terreno sembra perfettamente quadrato. Si va a sbatterci il naso contro pensando di passare oltre... E' una di quelle cose che bisogna vedere"; oppure, ancora, l'addirittura proverbiale Teatro Olimipico di Palladio a Vicenza (op. cit., p. 92), cui de Brosses dedica un'intera pagina. (149) WOLFGANG GOETHE, op. cit., p. 593.
(150) CHARLES DE BROSSES, op. cit., p. 119. |